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Siamo la somma delle nostre parti

Monica Berg
Ottobre 23, 2023
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Ho provato un dolore fortissimo durante l’ultima settimana - e so che anche molti di voi hanno fatto la stessa esperienza. Ci sono state anche altre emozioni - rabbia di fronte ai terribili atti di violenza e terrorismo, sconforto per vite che sono finite troppo presto e timore su ciò che ha in serbo il futuro. 

Ciò che è rimasto, tuttavia, è il dolore. Dolore per coloro che si trovano in un’angoscia inimmaginabile. Dolore per coloro che hanno perso bambini, genitori, partner e vicini. 

Il dolore è profondo e potente e ci può sconvolgere interamente, lasciandoci senza fiato. Ha la potente abilità di bloccarci, ridefinendo l’intero panorama delle nostre vite, sia sul momento che sul lungo termine. 

Un’altra cosa che so essere vera riguardo al dolore è che è sempre direttamente proporzionale a quanto è grande il nostro amore. È una testimonianza dell’immenso affetto che abbiamo per le nostre famiglie, per i nostri amici e per le nostre comunità. Per l’intero genere umano. 

Il dolore ci spoglia completamente, lasciandoci solo con l’essenziale. Ci insegna che possiamo amare anche quando i nostri cuori sono spezzati, che possiamo continuare ad essere pieni di gratitudine e sperare e partecipare alla creazione di un futuro migliore mentre, nello stesso momento, rispettiamo, onorandolo, il nostro più profondo sentimento di perdita. 

Viviamo in un’epoca in cui il mondo sembra insicuro e diviso - assistiamo ad inimmaginabili atrocità ogni giorno. A qualcuno potrebbe anche suonare come un’idea nuova il fatto che la salute di una nazione dipenda in realtà da quella del suo popolo, ma si tratta di un antico principio confermato da studi sociologici ed antropologici. Il genere umano è sopravvissuto, ha prosperato e si è evoluto solo per il modo in cui gli umani - anche quelli dell’antichità - si sono presi cura l’uno dell’altro. E soprattutto di coloro che ne avevano bisogno. 

All’antropologa Margaret Mead una volta fu chiesto cosa considerasse come prima vera prova della civiltà umana. Sebbene molti pensassero che avrebbe citato strumenti, ritrovamenti di artefatti o residui di pratiche religiose, o magari anche tracce di auto-governo, la sua risposta non conteneva alcuna di queste cose. La Mead disse che la prima vera prova della civiltà umana era un femore umano che riportava i segni della guarigione da una frattura, rinvenuto in uno scavo archeologico risalente a 15.000 anni fa. 

Un osso rotto che era guarito? E che c’entra con la civiltà?

La Mead proseguì spiegando che affinché un uomo delle caverne sopravvivesse alla frattura di un femore, sarebbe stato necessario che qualcuno si prendesse cura di lui per un tempo davvero lungo perché l’osso si rimettesse completamente. Ciò significa che ci doveva essere stato qualcun altro che gli ha dato un riparo, protezione, cibo ed acqua per un tempo sufficiente al verificarsi di una simile guarigione. Per questo, la Mead, una delle più importanti figure dell’antropologia di tutti i tempi, dichiarò che la prima indicazione della civiltà umana poteva essere riscontrata nella “cura protratta”. E non una cura qualunque, ma una cura per qualcuno che stava male e si trovava in uno stato di necessità, per qualcuno che era il più debole di noi - a dimostrarlo c’è il femore rotto e successivamente guarito. 

Non possiamo più pensare solo a noi stessi o alle nostre famiglie - semplicemente perché non ci è possibile. 

La nostra forza equivale a quella del più debole fra noi. La nostra salute è quella della persona più malata. E, prendendoci cura di coloro che ne hanno bisogno, ci rafforziamo anche noi. Gli insegnamenti della Kabbalah condividono che, da un punto di vista spirituale, non esiste separazione fra le persone. Siamo tutti collegati, sia a livello innato che a livello energetico. L’idea della separazione viene dall’ego. Nella Kabbalah l’ego viene spiegato come il desiderio di ricevere solo per noi stessi. Rompiamo questo circolo vizioso ogni volta che scegliamo di condividere, amare, dare ed offrire gentilezza in modo assoluto, soprattutto quando è più difficile. 

Prendiamoci cura gli uni degli altri. 

Facciamolo anche quando non vogliamo; offriamoci di farlo quando non ci va o anche quando ne abbiamo paura. Prendiamoci cura di coloro che giudichiamo come immeritevoli del nostro affetto, prendiamoci cura di chi amiamo e facciamolo per tutti ogni volta che ne abbiamo la possibilità. Non ci rende semplicemente buoni o generosi - ci rende civili. 

Nell’attraversare questo momento di incertezza, vi invito a riflettere ancora più profondamente sulla nostra umanità. Notiamo come ogni giorno ci venga data la possibilità di prenderci cura degli altri e quanto spesso ci tiriamo indietro. Chiediamoci tutti come possiamo dare e condividere ancora di più. Come possiamo permettere a questo momento di ridefinire il modo in cui ci comportiamo gli uni con gli altri? Cosa ci può insegnare questa esperienza? Quale modo di esistere ci lasceremo alle spalle, e quali nuovi modi di relazionarci gli uni con gli altri porteremo con noi? 

È questo il mondo in cui voglio vivere. 


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