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Il Cuore è Piccolo

Michael Berg
Dicembre 17, 2023
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Questo articolo è stato pubblicato precedentemente nel 2020.

La porzione di Vayigash inizia con quello che sembra uno scontro tra Yehuda e Joseph. Yehuda, in questo momento, crede che Joseph sia semplicemente il secondo in comando del Faraone e, parlando con lui, pronuncia queste interessanti parole: “Che io possa parlare alle tue orecchie”. Questa precisazione di parlare alle orecchie è strana, perché ogni volta che parliamo a qualcuno, questi ci sentono attraverso le loro orecchie. Quindi, qual è l’intenzione di Yehuda nel menzionare il fatto che, parlando, parlerà alle orecchie di Joseph? I kabbalisti spiegano che si tratta di un’importante consapevolezza che vale anche per la maggior parte di noi, se non per tutti.

“Che io possa parlare alle tue orecchie”.

Prima di iniziare a studiare e a comprendere, siamo praticamente ignari del perché le cose accadono, di cosa dovremmo fare, di come dovremmo cambiare e così via. Ci sono così tante domande senza risposta. Poi una persona inizia i suoi studi spirituali, e forse un po’ del suo lavoro spirituale, e inizia ad ottenere risposte; comprende perché le cose accadono, come deve cambiare e, in particolare, quali sono le aree in cui ha bisogno di cambiare e su cui focalizzarsi. E la maggior parte delle persone crede che questa sia una grande parte del processo spirituale, ma in realtà è solo una piccola parte.

Conoscere su quali aree dobbiamo lavorare e quali parti di noi dobbiamo cambiare è davvero una parte molto piccola del lavoro. Ed è per questo che usiamo il termine “pratica spirituale”. Non possiamo, almeno nel nostro tempo, sentire qualcosa o capire qualcosa e poi farla accadere, indipendentemente da quanto la desideriamo. Questa è una verità; potremmo aver bisogno di sentire una cosa mille volte, e praticarla diecimila volte prima che diventi effettivamente un cambiamento, prima che noi cambiamo attraverso di essa, prima che noi diventiamo realmente una persona diversa attraverso di essa. Ma perché è vero?

C’è una sezione del Talmud che usa la parola lev, cuore, per pralare della capacità di ogni individuo di conservare la conoscenza, ma anche quella di mantenere il cambiamento. E il Talmud vuole elencare come il mondo ha sviluppato una condizione in cui sempre meno persone hanno la capacità di conservare il cambiamento. Dice: “Il cuore dei saggi, delle grandi anime che sono venute prima, era della dimensione di una grande ed ampia sala. E la capacità del cuore delle generazioni successive è delle dimensioni di una stanza”. Inoltre, ciò risale a 2000 anni fa e continua dicendo: “E il nostro cuore è grande come uno spillo”.

Quindi, dice che nelle prime generazioni, il loro cuore era grande quanto un’ampia sala. Nelle generazioni successive, il loro cuore era grande come una stanza e il cuore della nostra generazione è delle dimensioni di uno spillo. Poi si chiede: “Chi sono queste persone a cui mi riferisco? Chi sono queste anime, quando parlo delle prime anime, delle prime grandi anime e delle anime successive, le persone il cui cuore era grande come un’ampia sala? Mi riferisco a Rav Akiva, il cui cuore e la cui capacità di trattenere i cambiamenti erano grandi come una vasta sala. E il mio cuore, la mia capacità di mantenere i cambiamenti, è grande come uno spillo”.

“La grandezza dei nostri cuori si è deteriorata nel tempo”.

La grandezza dei nostri cuori si è deteriorata nel tempo. Questo è un po’ triste, ma è importante saperlo, perché questo cambia, si spera, il modo un cui vediamo l’intensità con cui dobbiamo praticare il lavoro spirituale. E ne spiega il perché. Se tu fossi andato da Rav Akiva e gli avessi detto solo una volta “Hai un problema con la rabbia”, cosa che noi sappiamo che aveva, il suo cuore era così ampio e la sua capacità di contenere quella consapevolezza così forte, che sarebbe cambiato in un attimo. Ma quante volte dobbiamo dire a noi stessi qualcosa per cambiare? Migliaia, che non è né un bene né un male, è solo un fatto. Pertanto, se comprendiamo questo, realizziamo che è folle pensare che ascoltare qualcosa cento volte sia sufficiente per cambiarci.

È la condizione della nostra generazione e di chi siamo, il nostro cuore, la nostra capacità di trattenere la conoscenza per il cambiamento, è molto piccola. È per questo che dobbiamo continuare a studiare, praticare e perseverare sempre sulla stessa cosa. E devo dirlo, la cosa più entusiasmante per me è quando una persona arriva alla consapevolezza che non si tratta di ottenere più conoscenza di noi stessi, o di acquisire più saggezza, ma significa praticare la stessa idea che conosciamo ancora e ancora. È come se qualcuno dicesse a sé stesso: “Sapevo già dieci anni fa di avere un problema con la rabbia e con la reattività. Ma continuo a concentrarmi su di esso, perché il mio cuore è piccolo. La mia capacità di contenere la conoscenza del cambiamento è piccola. E così, ho bisogno che i miei insegnanti, i miei amici, e me stesso continuino a ricordarmi sempre la stessa cosa”.

Poiché accumuliamo più comprensione e conoscenza che non ci guideranno al cambiamento, ogni singola volta che ti viene detto, ogni singola volta che comprendi, ogni singola volta che ricevi saggezza, ricorda che ne trattieni solo una minuscola frazione per il cambiamento. Per cambiare, il cuore è piccolo e quindi ha bisogno di una pratica e un ricordo costanti.


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