Una farfalla si ricorda di quando era un bruco? Mentre vola libera fra le margherite, riflette mai sui suoi primi momenti passati ad arrampicarsi sulle foglie, un millimetro alla volta? E prova mai nostalgia per il bozzolo buio che proteggeva la sua radicale trasformazione?
È difficile da dire. Ma come succede a ciascuno di noi, la farfalla forse non si sentiva in nessun altro modo se non completa ad ogni stadio della sua metamorfosi. Ed ogni “me” che siamo stati si trova ancora lì, nel “me” che siamo oggi. Eppure, c’è qualcosa che ci riporta in quel bozzolo - fra quelle braccia aperte dove ci siamo sentiti per la prima volta sicuri e completi. È la nostra figura materna - simbolica o letterale che sia. In questo modo, che le nostre mamme si trovino con noi o meno…o che siano completamente diverse dalla tipica “figura materna”, continuiamo a scoprire cose su di noi attraverso loro, e grazie a loro.
Questo lo so perché sono stata e sono quelle stesse braccia e, in alcuni giorni, le desidero anch’io. Una volta, sono stata anch’io la bambina piccola che si godeva il caldo abbraccio della sua mamma. Sono stata la madre giovane e piena di speranza e incertezza rispetto al lungo percorso della genitorialità che mi attendeva. Sono stata la mamma adorante e a corto di idee che ha tirato su quattro figli, tre dei quali sono ora dei giovani adulti. E mentre il mio ruolo di genitore cambiava nelle varie fasi, così cambiava anche il mio nei confronti di mia madre. Eppure, nonostante tutto, mia madre ed io continuiamo a supportarci in ogni capitolo, ancora adesso.
Rav Ashlag insegnava che solo quando riusciamo a vedere l’intera trasformazione di un’altra persona - attraverso tutte le sue varie fasi e momenti - solo allora possiamo comprendere pienamente il significato e la bellezza dell’essere completi. E quanto è vero! Il nostro figlio maggiore adesso ha circa 20 anni e la più piccola quasi 10. Qualcuno dei miei figli è la stessa versione di se stesso che era cinque anni fa? Certo che no! Si generalizza tanto (“i terribili due anni”, “gli anni strani dell’adolescenza”, etc.), ma il fatto è che ci sono così tante altre sfumature. Ogni figlio è tanto unico quanto lo è un fiocco di neve. E il meglio che possiamo fare come genitori è favorire quell’unicità e “tirare fuori” quella Luce che ciascun figlio deve condividere col mondo.
Del resto, chi mi ha visto mentre mi trasformavo? Chi c’era quando avevo paura, quando ero una bambina insicura, un’adolescente che combatteva contro un disturbo alimentare, e una giovane adulta che finalmente cresceva in autostima e potenziale? Mia madre, certo! Mi ricordo quando ci siamo trasferiti a New York. I nostri bambini erano tutti a casa, ed Abigail aveva solo pochi mesi. Vivevamo in un appartamento angusto - un cambiamento importante rispetto alla nostra casa spaziosa a Los Angeles. La città proprio non la capivo: uptown, downtown, metro, posti affollati - e tanto rumore. Mi sentivo a dir poco sopraffatta.
Mia madre è volata a salvarmi almeno sette volte durante quell’anno! Abbiamo riso. Abbiamo parlato. Abbiamo pianto. E poi riso ancora un po’. Mi ha fatto scendere dal mio picco d’ansia e mi ha fatto sentire meglio e piena di speranza per questa nuova avventura. Mi ha dato amore incondizionato…quelle braccia capaci di confortarmi. Il punto è che, indipendentemente da quanto cresciamo o cambiamo o invecchiamo, ci sono momenti in cui desideriamo uno sguardo o un abbraccio che ci faccia sentire al sicuro e compresi.
I nostri piccoli questo non lo capiscono sempre. E come potrebbero, del resto? Come genitori o adulti di riferimento, ci vedono come capaci di prenderci cura di noi stessi. Siamo NOI che diamo cure, dopo tutto. Mi ricordo un giorno in cui Abigail, che aveva circa cinque anni, mi ha chiesto: “Perché hai ancora una mamma, se riesci a fare le cose da sola?”. Credo che ciò che intendesse dire fosse: “Perché hai bisogno di una mamma se tu SEI una mamma?”
È impossibile per lei immaginare i suoi genitori come nient’altro come qualcosa di incredibile. Eppure, noi mamme abbiamo avuto gli stessi sentimenti per i nostri genitori. Erano loro a cambiarci i pannolini…che ci tenevano per mano sulle porte di scuole che per noi erano ignote. Ci hanno dato da mangiare, vestiti e ci hanno fatto crescere. Più avanti, poi, se siamo stati fortunati, sono anche diventati i nostri confidenti ed amici - proprio come io lo sono per mia mamma (e lo ero per mio papà), e proprio come i miei figli più grandi sono diventati degli amati compagni di vita per Micheal e per me.
E così continua il cerchio della vita. In quello che sembra un batter d’occhio, quel neonato bisognoso di tutto può diventare colui che si prende cura di sua madre, cantandole per farla addormentare, stasera. Quell’istinto materno - e il desiderio delle nostre mamme - in realtà non finisce mai. Sia che abbiamo dei bambini o dei gatti, dei cani, delle piante o degli amici in difficoltà…e che i nostri genitori siano ancora con noi o abbiano già lasciato questo mondo, siamo sempre alla ricerca di dare e scoprire quell’amore incondizionato. Dopo tutto, scopriamo anche noi stessi, guardandoci nello specchio di coloro che ci conoscono meglio.
Ogni tanto, Abigail dice: “Voglio essere PROPRIO come la mia mamma!”. Quando la sento dire questo, sono profondamente onorata. Eppure, so anche che questa sua dichiarazione ha meno a che fare con delle mie qualità specifiche o, in questo senso, non riguarda qualcosa di materiale. Credo che riguardi molto di più il modo in cui la faccio sentire. Vuole creare per se stessa quello che io ho desiderato creare per me imitando mia madre: sicurezza, accettazione e senso di appartenenza.
Questo perché, alla fine, “madre” e “casa” sono la stessa cosa. Entrambe offrono protezione e calore durante le tempeste della vita. Entrambe danno un posto in cui possiamo sentirci completi, anche se stiamo attraversando quelle strani fasi di una vita fatta di momenti e passaggi. Desideriamo le nostre madri perché sono strumenti chiave nel nostro sviluppo. Sentiamo il calore delle loro braccia attraverso il tempo e le distanze. E contiamo sulla loro presenza per incoraggiarci affinché anche a noi possano crescere le ali e impariamo così, a volare.